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Parco dei Mostri

Oltre a dare un nuovo assetto urbanistico al borgo medioevale di Bomarzo, gli Orsini lo arricchirono con il grandioso Palazzo Orsini e con il celeberrimo Parco dei Mostri, ultimato entro l’ottavo decennio del ‘500.

Detto anche Bosco Sacro, è un’opera unica nel suo genere, ideata e fatta realizzare da Vicino Orsini, fine erudito facente parte della stretta cerchia dei poeti e letterati di Venezia e Roma, valente condottiero e pur malato di gotta e calcoli renali, che vi trascorse gli anni della maturità in compagnia dei suoi amici più cari.

Una congerie di gigantesche e inquietanti figure in pietra, in origine colorate, sono disposte tra la vegetazione sulle terrazze digradanti di un incantevole anfiteatro naturale. Ignoti sono sia l’autore sia i significati della maggior parte delle perturbanti e bizzarre sculture che popolano questo luogo, alla realizzazione delle quali contribuì l’architetto napoletano Pirro Logorio. Secondo alcuni frutto dello stato d’animo contrastato dell’ideatore, i “mostri” sono comunque esplicativi di una cultura maturata all’interno di quel gusto dell’orrido, del magico e dell’esoterico in voga a Roma nella seconda metà del XVI secolo.

Varcato l’ingresso, girando a sinistra e percorrendo il viale si incontra la bocca spalancata di un mostro marino – secondo alcuni una maschera azteca – che sostiene un globo sormontato da un castello, simbolo evidente della potenza della famiglia Orsini.

Tornando indietro e salendo le scale sulla sinistra si giunge in cima al colle, dove Vicino Orsini volle erigere un tempietto innestato su un corpo ottagonale coperto a cupola in omaggio a Giulia Farnese, la giovane moglie prematuramente scomparsa nel 1560.

Nel piazzale sottostante si incontrano Cerbero, il cane mostruoso a tre teste custode dell’Ade, e Proserpina che accoglie i suoi figli nel suo largo ventre; in fondo al piazzale, delimitato da pigne e ghiande, due Orsi, simbolo degli Orsini, sostengono lo scudo con l’arme della famiglia, mentre alle loro spalle due leoni accovacciati sono affiancati da due sirene, una bicaudata e l’altra con ali di pipistrello, ispirate alle divinità infernali etrusche.

Poco più sotto, oltre a un sedile e un vaso etruschi si ammira quella che è senza dubbio la scultura più rappresentativa del parco: la gigantesca bocca spalancata di un Orco che riecheggiando l’Inferno dantesco reca sul labbro la scritta “Ogni pensiero vola”. E poi un elefante da combattimento che sostiene con la proboscide un soldato ferito, un drago assalito da un leone e da un veltro, Nettuno-Tevere con un piccolo delfino sotto il palmo della mano destra e, poco oltre, la Ninfa dormiente protetta dal suo fido cagnolino.

Non si può poi non rimanere stupiti osservando da fuori ma soprattutto entrando all’interno della Casa Pendente, un piccolo padiglione singolarmente costruito in modo fortemente obliquo, probabilmente a simboleggiare la Chiesa che al tempo di Vicino Orsini barcollava per il dilagare della Riforma protestante, come si evince dalla dedica all’amico cardinale Cristoforo Madruzzo, principe tridentino.

Proseguendo si incontrano un piccolo teatro classico e una Venere dall’aspetto alquanto rude, il ninfeo con le tre Grazie e con le Muse e poco oltre il mitico cavallo alato Pegaso e la bocca di una balena, seminascosta dalla vegetazione, spalancata verso una tartaruga sormontata da una Vittoria alata.

Salite le scale si intravede di spalle un gruppo scultoreo: si tratta di due giganti in lotta, secondo alcuni Ercole e Caco ma più probabilmente la personificazione del bene che con gesto implacabile ma con espressione serena riesce ad atterrare il male.

E qui si conclude l’itinerario simbolico voluto da Vicino Orsini, talmente fiero delle sue creazioni da scrivere: “Se Rodi altier già fu del suo Colosso pur di questo il mio bosco anco si gloria e per più non poter fo quanto posso”.

Dopo qualche secolo la “memoria” del Sacro Bosco si perse a causa della fitta vegetazione che nascose le tracce dei “Mostri” di Bomarzo. Fu lo studioso Domenico Gnoli, nel 1913, a “riscoprire” le meraviglie del posto, seguito, dopo quarant’anni, da artisti e letterati attratti dal Sacro Bosco di Vicino Orsini: il pittore catalano surrealista Salvador Dalì lo definì “un’invenzione estetica unica” mentre lo scrittore argentino Manuel Muijca Laìnez pubblicò nel 1962 il romanzo “Bomarzo” da cui fu tratta l’opera lirica omonima del compositore argentino Alberto Ginastera.

Oggi il Sacro Bosco è tornato a vivere grazie alla famiglia Bettini che da vari decenni è diventata proprietaria del Parco.

"Il Sogno di Vicino"

Io, Vicino Orsini, nato a Roma il 4 luglio dell'anno 1523, ho visto la grandezza, lo splendore e tuttavia i vizi della Città Eterna; Ho visto il fermento dell'arte a Venezia e la magnificenza di Firenze. Ho vissuto l'orrore della guerra e le sofferenze della prigionia... Ma finalmente, ho trovato la pace e la quiete dell'anima qui, nella terra di Bomarzo, tra le possenti mura del mio Palazzo e la natura aspra e vergine... Qui io realizzato il mio grande sogno. Un sogno che ancora continua e che vorrei far vivere anche a ciascuno di voi... A Bomarzo, nella mia Bomarzo, il 4 luglio 2023, per la festa dei miei cinquecento anni! ...